Recensione a cura di Umberto Russo
La scelta del mondo e della vita degli animali come ogetto della scrittura letteraria è antica, si può dire, quanto questa stessa forma di espressione umana: basti pensare alla pseudomerica batracomiomachia, al vetusto "genere" della favola, e via dicendo. Anche questa silloge narrativa attinge a quella tematica, ma lo fa in modo affatto nuovo, originale, genuino, dal momento che non si discosta dal centro focale di ogni moderna espressione letteraria, cioè dal sentimento proprio dell'uomo dalla sia sensibilità,dal groviglio inestricabile dei suoi pensieri e della sua esperienza quotidiana ( lo dice anche il titolo), ma pure ne proietta i riflessi sul particolatre settore della vita terrestre che è rappresentato dal brulichìo sterminato, estremamente vario e complesso, in grandissima parte a noi ignoto del cosidetto mondo "animale".
Direi che il primo merito da assegnare al giovane e valido scrittore è proprio questo: aver individuato uno specifico settore d'interesse per le sue narrazioni, rinunciando ad accozzare un insieme sparpagliato di racconti, conferendo invece unità e puntualità tematica alla sua opera.
Ma com'è ovvio non ci si può fermare a questo riconoscimento iniziale(che pure ha un suo valore indicativo), occirre dire ancora che egli ha affrontato con intelligente capacità inventiva questo suo peculiare oggetto d'ispirazione, soprattutto che ha saputo ricavare stimoli di riflessione e motivi di coinvoglimento di consistente portata, ma di ciò in appresso: per ora sia lecito spendere qualche parola sui contenuti della silloge.
Dunque se gìa l'unità tematica conferisce al testo una sua evidente coerenza, non va trascurata l'altra, più sotterranea unità: quella dell'approccio mentale e sentimentale (che l'autore istituiscee svolge di racconto in racconto) col particolare "mondo" degli animali. Se è vero che da questo punto di vista sembra proporci una sorta di itinerario di formazione, dal primo racconto he lo vede ragazzo in lotta accanita con le formiche, fino all'ultimo nel quale è compendiata la penosa vicenda della morte di un cane randagio, è anche vero che in tutto il volume si afferma - o meglio si vuole affermare - l'esigenza di una visione diversa del rapporto tra l'uomo e le "bestie".
L'essere umano è tale, proprio perchè da sempre, contando nelle sue forze intellettive, guarda dall'alto in basso a questa sterminata massa di coinquillini sul pianeta, privi, a suo parere, di capacità mentali, di un volere consapevole, persino di sensibilità.Ne valgono il contrario casi ed
esempi: l'animale, per la generalità degli uomini è un essere non solo "diverso", ma "inferiore", ospite intruso della Terra, al più utilizzabile per vari usi e consumi, all'occasione da sterminare.
La visuale di Cipollone è ben diversa: Le bestie, nella sua narrativa vivono di una loro pienezza esistenziale, sono alla pari, talvolta al disopra all'uomo, o per lo meno hanno una loro dignità, meritano una considerazione che non si fermi al rispetto, ma giunga a capire ciò che esse "sentono" e "pensano". Si legga in questa prospettiva un lungo racconto (quasi un romanzo breve) La fame nel quale lo stimolo a nutrirsi è visto come un dato basilare,essenziale per la sopravvivenza, comune agli uomini e agli animali, e si capirà come questo, e molti altri istinti e moti dell'animo, non produce differenza tra i diversi generi di esseri viventi.
Non occorre dilungarsi nell'analisi: al lettore bastino queste sommarie indicazioni per comprendere come questo non sia un libro di da lettura amena, da mero passatempo, ma racchiuda un monito profondo, un invito a ripristinare idealmente quel rapporto tra mondo umano e quello animale che esisteva alle origini, quando le specie terrestri non erano distinte, ma vivevano insieme nel concerto di un'ancora intatta natura.
Umberto Russo
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